venerdì 13 luglio 2012

In cui.... Out Back

8 LUGLIO.
Non parlerò della mia ultima giornata a Townsville ne del mio viaggio per arrivare a Julia Creek. Perché in questo momento sono qui e ora, senza telefono, senza internet, senza nessuno..
Scendo dall’autobus ed un signore, vecchio, con degli occhi azzurri come il ghiaccio ed una barba da Amish sta lì che scruta l’unica altra ragazza che è scesa nella mia stessa fermata.
Mi avvicino e mi presento. Sono chi stava cercando.
Scambiamo alcune parole, poi monto sul suo furgone. Altre poche parole in macchina da cui vengo a sapere che vive solo. Ok.. no panic.
Iniziamo la lunga strada verso la tenuta Delacourt, a 60km da Julia Creek.
Davanti a noi una distesa infinita di arido prato, sulla strada carcasse di canguro. Inizio a pensare che J. sia un assassino di canguri.. Comincio a studiarlo, è taciturno e di poche parole.
I miei pensieri sono tutti tipo: Avrei scampo contro di lui? Potrei ucciderlo io per prima, cogliendolo di sorpresa.. ma così senza un movente?! Spero mia madre avrà indietro i pezzi.
Lui mi dice che in qualche giorno arriverà anche una ragazza tedesca... Io ci spero.
Dopo kilometri di strada arriviamo ad attraversare la tenuta. Decine di canguri iniziano a saltellare via, spaventati dal rumoroso mezzo. Il panorama è fantastico, lo ammetto. Strani uccelli di tutte le dimensioni prendono il volo al nostro passaggio.
Arriviamo alla farm e J. scende a slegare un dolce cagnolino marrone, tutto scodinzolii e feste. Ok, sembra "buono" con gli animali..
Entriamo in casa, è una baracca. Mi ricorda un po’ per l’odore (di naftalina) la casa dei nonni di Gianmaria, versione Safari. C’è polvere ovunque, ragnatele inquietanti ricoprono le pareti, ci sono ragni di ogni tipo, certi davvero grandi e impressionanti.
J. mi fa vedere il mio letto, in una grande stanza con pelli di mucca sul pavimento, enormi finestre barricate da persiane, e tre grandi portali chiusi da tendaggi (le porte di vetro sono lasciate aperte).
Arriva in cucina e prende un grande atlante, inizia a cercare l’Italia e vuole che gli mostri da dove vengo.
E’ gentile, ma mi fa comunque paura.
Oddio.. è c’è davvero una di quelle musiche che Tarantino sceglierebbe durante l’omicidio più splatter.
Entro in bagno, non l’ho fatta per tutto il viaggio di otto ore.. C’è un odore pungente, credo che l’acqua dello scarico venga riciclata, perché anche dopo aver pulito con il disinfettante e scaricato, l’odore rimane.
Mentre disfo le mie cose mi accorgo che il mio telefono non prende, questo non l’avevo davvero calcolato. E mi manda fottutamente nel panico.
Gli chiedo se mi fa mandare una mail a mia madre. Lui bofonchia qualcosa, dopo pochi minuti mi dice che esce.
Io sono qui.. Non mi sono mai sentita così sola e così lontana come adesso, senza internet e senza rete telefonica. Sto per avere una crisi di panico. Il nulla non mi spaventa, il lavoro duro non mi spaventa, ma non posso davvero stare senza sentire Gianma, mia madre..
Dopo un oretta J. torna e prepara la cena, io gli chiedo nuovamente di poter inviare una mail, mi fa capire che la connessione è molto costosa qui, e che quindi sarà solo per questa volta.
Ok, la mail.. entro su facebook, è più veloce, ci impiego meno a trovare il destinatario.
Scrivo la stessa mail a Gianmaria e alla mamma. Gli scrivo che gli amo, che non ho possibilità di usare il telefono, che J. non sembra volermi uccidere, ma che sono qui sola con lui. Gli scrivo che tra qualche giorno dovrebbe arrivare una ragazza tedesca.
Poi disconnetto, spengo il computer.
A cena qualche altro tentativo di conversazione. Davanti a noi un piatto di verdura al vapore, un pezzo di zucca, uno di patata, un pezzo di broccolo ed una carota.. e due grosse salsicce.
Proprio non mi passa nella mente di dire che sono vegetariana. Inizio mangiando le verdure, sono gustose, anche se senza condimento; ce ne sono svariati sul tavolo, ma non mi arrischio a provarli, giusto una spolveratina di pepe. Piano piano mi faccio coraggio ed assaggio le salsicce. Non sono schifose come quelle scozzesi. Consumo il mio pasto, lavo i piatti e mi ritiro in camera.
Prendo sonno velocemente, nonostante la radio molto alta, che è davvero fastidiosa; ma i miei sogni sono abbastanza inquietant. Mi sveglio svariate volte nella notte, di J. non c’è traccia. Quando riprendo sonno i miei sogni sono più tranquilli.

9 LUGLIO.
Mi alzo poco prima del suono della sveglia. Quando J. accende la luce e va in cuicina, capisco che è il momento di iniziare a prepararmi.
Rimetto gli stessi vestiti del giorno prima. So che ci sarà da sporcarsi oggi.
Vado in bagno e vedo dalla finestra tre cavalli che si dirigono pacatamente verso casa. Sono lasciati liberi nel Ranch, ma ogni mattina ritornano a casa. La loro apparizione mi fa sorridere.
Mi dirigo in cucina dove do il buon giorno a J. Facciamo colazione con del tea e del porridge. Ci metto un po’ di  cannella per insaporirlo. Ne prendo solo mezza tazza, J. si riversa i miei avanzi.
Al mattino ha un viso ancora più inquietante, un po’ rosso ed è ancora più taciturno.
Dopo colazione lo seguo fuori, conduce i cavalli in un recinto. Proprio davanti il recinto il mio telefono squilla, come se avessi ricevuto un messaggio di What’s up! Mi affretto a prenderlo. Segna una tacca, provo a scrivere velocemente a Gianmaria, ma il segnale sparisce di nuovo. Ok, ci avevo sperato. Cerco il messaggio ricevuto ma niente. Ok sto diventando pazza.
J. inizia a spalare sterco di cavallo. Io mi affretto a prendere il suo posto, all’inizio è faticoso, ma poi capisco il meccanismo e ci prendo la mano.
I tre cavalli sono lì di fronte a me che fanno colazione. Passo una mezz’ora a pulire tutto per bene, poi J. torna su un trattore, con dei rettangoli di fieno da impilare, ne prendo uno e lo seguo. E’ abbastanza pesante, ma non batte la mia valigia. Continuiamo così con una mezza dozzina. Poi lo raggiungo mentre rifornisce il trattore e ne impiliamo un altro po’.
Fatto ciò è l’ora di pulire i cavalli. J. prende degli insoliti attrezzi che non ho mai visto prima e mi affida il cappio del primo cavallo. Gli afferra le zampe, una alla volta e inizia ad accorciargli gli zoccoli. Questo non l’avevo mai visto fare. Penso che lo stia preparando per me, perché non viene montato da un po’. Poi mi passa una striglia ed io inizio a spazzolarlo. E’ davvero polveroso. Non posso pulirlo del tutto, perché dovrebbe prima essere lavato. Ma è comunque abbastanza pulito per essere un cavallo che vive in natura.
J. mi comunica che dovrebbe piovere, quindi cavalcheremo domani. Mi porta in macchina un po’ per la tenuta, deve sistemare il recinto che accoglierà gli animali. Io più che altro lo seguo e catturo con gli occhi.
Poi rientriamo a casa, per oggi non c’è più niente da fare. E sono solo le dieci di mattina.
Decisamente non mi sono guadagnata la pagnotta.
Gli chiedo dove posso trovare una scopa. Lui me la prende ed inizio a spazzare la camera da cima a fondo, quando ho finito passo all’ingresso (che J. chiama veranda). Poi è il momento dell’aspirapolvere. J. intanto prende dei secchi e inizia a pulire le pareti della stanza che sta tra la mia camera e la cucina. E’ un duro e lungo lavoro, ci mette sudore e fatica.
Io intanto aspiro tutte le ragnatele che posso, sono davvero tante e la stanza è enorme. Cerco di salvare la vita a tutti i ragni che non finiscono accidentalmente nel tubo della mia aspirapolvere. So che più tardi me ne pentirò, ma proprio non ho il cuore di ucciderli, scappano via, sono animali saggi. 
Mentre pulisco tutto per bene immagino di parlare con la ragazza tedesca, le dico che deve ringraziarmi, che solo pochi giorni prima non avrebbe messo piede nella stanza. In realtà ho anche paura che scappi via, quindi voglio renderle tutto il più piacevole possibile, ho assoluto bisogno che lei resti con me. E’ già la mia migliore amica. Le dico: -Tu sei la mia migliore amica, da ora in poi io sono tutto per te e tu sei tutto per me. Dobbiamo esserci l’una per l’altra.
Continuo il mio meccanico lavoro. La fatica si sente ed è tanta, non mi fermo, dopo l’aspirapolvere passo a pulire i muri , le porte e le serrande con delle pezze di pelo di pecora, che ogni tanto immergo in secchi d’acqua insaponata. I miei pensieri ora vanno a Gim, vanno a NY. Ogni tanto sento di non farcela, voglio che Gim vada a NY e raggiungerlo appena mi sarò rifatta della somma spesa fin ora. Poi mi chiedo se sarebbe meglio se ci rincontrassimo a Sidney.
Ogni tanto lo rimprovero per non essere venuto con me. Questo sarebbe il paradiso se potessi viverlo con lui. Poi invece mi chiedo se stia venendo a salvarmi.. Se stia comprando un biglietto aereo e presto sarà in viaggio verso l’Australia.
Mentre riordino trovo dei pantaloni da equitazione della mia taglia, ci sono in giro anche altre cianfrusaglie lasciate da altri ragazzi. Chiedo a J. se li posso prendere e se posso prendere uno di quei cappelli da CowBoy impolverati che si trovano sull’armadio. Mi dice che sono troppo caldi. Me ne da uno traforato. Mi porge anche altri pantaloni, marroni, taglia 40, ma mi fa vedere che sono lacerati tra le gambe. Gli dico che posso aggiustarli. Mi da ago e filo e li sistemo. Mi viene da piangere in cucina, senza poter sentire Gim, ogni tanto ho momenti di sconforto durante il giorno. Finito il rammendo lavo entrambi i pantaloni. Li stendo. Poi mi riposo un attimo. Guardo l’oroliogio: le tre passate.. Questo significa che sono passate le prime 24 ore.. Ora moltiplica per 30.. o per 88.
Torno alle mie faccende. Dopo aver finito con la mia stanza, passo alla veranda, e alla stanza relax di J.
Prima pulisco tutto con la pezza umida, ma vedo che è inutile. Perché c’è davvero troppa polvere. Quindi poi passo circa un’ora cercando di levare via le ragnatele con l’aspirapolvere. Quando incrocio lo sguardo di J. mi fa segno di smettere (indicando una gola decapitata), guardo l’orologio, sono le cinque e mezza. Ok nove ore di lavoro possono bastare. Non ho pranzato, ho mangiato solo un arancio e bevuto una tazza di tea.
Esco senza dire niente. Vado verso il laghetto. Mi sdraio su di un galleggiante, sembra fatto proprio per ricevere il mio corpo. Sopra di me cielo e nuvole. Il grande albero pieno di uccelli cinguettanti, l’acqua che mi culla, i cavalli che brucano nel prato. E’ tutto quello che mi serve. Penso a Gim e mi dispiace non possa sentirmi. Non può sentirmi. Non sta leggendo la quarta via, ne tantomeno si è mai sognato di fare meditazione. No non può sentirmi. Ma sono felice di aver qualcuno a cui dedicare i miei pensieri.
Ogni tanto qualcosa zampilla nell’acqua, ma non sono davvero in grado di capire di cosa si tratta.
Faccio un largo giro intorno alla casa, è il tramonto, scatto qualche foto.
Ed è di nuovo cena, la stessa della sera prima. La cosa non mi dispiace perché l’ho gradita, o meglio: ho più paura dell’ignoto..
Tento di fare conversazione . Indico le cartoline nella credenza, chiedo a J. se sono da parte di altri come me. Annuisce.
Qualche domanda sulle pecore V: -Le uccidi qui o le vendi vive? J:-Le vendo vive. V:-A quanti anni vengono vendute? J:-Attorno ai 6 anni. V:-Però fanno una bella vita.. In Italia non c’è tutto questo spazio..
J:-Parli qualche altra lingua oltre la tua? V:-No e tu? J:-No.
Ridacchia. E il nostro pasto è finito. Inizio a lavare i piatti, Mentre lui asciuga gli dico che il mio inglese è migliore quando non sono così stanca.. e quando bevo caffè.
Gli do la buona notte e mi ritiro in camera.
Scrivo un po’, sto meglio quando scrivo. C’è un odore davvero pungente, non so se sta piovendo. E’ lo stesso odore che c’è in bagno. Che sia l’acqua piovana ad emanare questo odore? Mi avvicino alla finestra e l’odore si fa molto più pungente. Si sta piovendo. E tanto. Man mano aumenta di intensità.
E’ ora di andare a dormire. Questa giornata è stata lunghissima. Sono stanca. Ci sono dei moementi, quando sono stanca, che sto bene. Stancarmi è tutto quello che posso fare, per poter dormire e sognare.
Riuscirò ad eliminare i pensieri negativi, riuscirò ad arrivare alle emozioni pure. Nient’altro che io e le mie emozioni.

10 LUGLIO.
La mattina inizia con la solita routine. Sveglia, porridge, seguo J. mentre da da mangiare ai cavalli. Indosso le mie galosce leopardate, perché il terreno è fottutamente argilloso, e ci si affonda dentro. Infatti quando piove non è possibile guidare.
Rientrati J. inizia a dipingere la stanza che aveva pulito il giorno prima. Mi da un pennello e mi spiega come coprire dei buchi nel muro con la vernice bianca. Sto due ore ad aiutarlo, ma non gli piace il mio metodo. Quindi mi sbologna.
Sono solo le dieci e devo fare qualcosa. Passo qualche ora a deragnizzare la cucina e le sue spezie accumulate da una vita. Non butto niente, cerco di rimettere tutto al proprio posto.
La mattina passa lenta, tra le faccende domestiche.. così come il primo pomeriggio.
Sono le tre e mezza quando esco a farmi un giro. Tutto quello che arrivano a vedere i miei occhi, in ogni direzione, è proprietà di Delacourt.
Credo che la mia macchina fotografica sia rotta, provo a fare qualche scatto, ma si continua a spegnere.. Questo mi lascia del tutto indifferente. Forse c’è un motivo se mi trovo in questo posto incontaminato.
Guardo i cagnolini. Si scambiano un mare di amore. Sono cinque, quattro cuccioli di sei mesi e la mamma. J. gli slega a turno. Loro si baciano e si salutano. A volte litigano. Il loro passatempo preferito è spaventare i cavalli.
Faccio una passeggiata. Il terreno bagnato rende lenti i movimenti. Arrivo ad uno dei cancelli, da cui riesco a vedere le mucche in lontananza. Inizia a pioviccicare e mi affretto a tornare a casa. Cambio i pantaloni infangati e mi siedo sul patio. I corvi sembrano bambini che piangono, talvolta streghe che ridono.
Non c’è un istante di silenzio.
Ci sono degli strani uccelli grigi con la cresta che prendono il volo uno dopo l’altro e quando sbattono le ali fanno uno strano cinguettio.
Da quello che ho capito le cose qui funzionano così: quando ci sono dipendenti, circa tre volte l’anno, si raduna il bestiame, si conduce fino a dei recinti, si marchia e poi qualcuno viene a prendere il bestiame che va venduto. Il resto torna nuovamente in libertà.
Mentre faccio di queste riflessioni J. riceve una chiamata di Rosie, ma è fuori e risponde la segreteria.
Mi porge un post-it con il numero di Rosie e mi dice di richiamarla.
Il mio primo contatto umano, oltre J., dopo giorni. Ovviamente e mia madre che le ha chiesto di chiamarmi, la rassicuro e le spiego un po’ come vanno i miei giorni. Sono felice di sentirla, perché sono felice di far sapere a mia madre che sto bene. E’ una grossa preoccupazione che ho il piacere di levarmi.
Dopo la chiamata me ne sto lì a riflettere sul patio, guardando il tramonto ancora un po’, fino a quando non è il momento di cenare.
Zuppa, di legumi e cereali, e tanta carne, che sono bene attenta a non pescare col mestolo.
La cena passa silenziosa e un po’ frustrante, J. se ne sta zitto a fissare le spezie. Quando finisco di lavare i piatti torna con dei documenti da compilare. Sono stata approvata. Ed assunta ufficialmente.
Improvvisamente perdo il senso di inadeguatezza che mi aveva portato questa giornata di pioggia.

11 LUGLIO.
Questa mattina è tutto più armonico. Tutto sembra avere il proprio ritmo. Chiedo a J. se posso aiutarlo a dipingere, ma consapevole della risposta negativa. Inaspettatamente però mi sta già bollendo le spugne per pulire il frigorifero. Questo mi rende felice, mi fa capire che sta apprezzando il mio darmi da fare.
Finito il frigorifero, in cui non c’erano poi tanti insetti stecchiti, ma delle dubbie chiazze di sangue.. passo a pulire la credenza in cui ci sono tazze e bicchieri che usiamo tutti i giorni. Li lavo tutti, tolgo le ragnatele, insomma faccio del mio meglio.
Durante la mattina sia io che J. facciamo tante pause spuntino, caffè, tea.
Bene o male tutte le cose in uso sono state pulite in cucina, quindi passo al bagno.. Qui tutti i saponi sono in quantità industriale e si aprono con rischiose manovelle.. rischiose nelle mie mani.. infatti faccio per chiudere quella con il sapone verde, ma non ci riesco.. e ne verso una quantità industriale. Mi sento decisamente in colpa e cerco di far sparire le prove.. Arrivo per fino a ripulire vecchie galosce di altri backpackers.
Quando incrocio J. vedo che ha iniziato a pulire le pareti della sua stanza relax. E’ sulla scala quindi mi chiede di sciacquargli una canottiera bianca, ogni volta che è necessario. Io resto nella stanza, perché c’è molto da fare per entrambi. Mentre lui si occupa delle pareti, che mano a mano tornano ad essere color verdemare, io pulisco i libri di tutte le librerie, elimino gli insetti morti e le ragnatele. Trovo anche un teschio di geco in una libreria. Quello decido di tenerlo. La musica detta il ritmo dei movimenti, pulisco sei libri, risciacquo il panno. Così fino a che le pareti sono tutte pulite e io ho rinfilato ogni libro nei propri scaffali.
J. si cambia e mi dice che fa un giro per la proprietà. Penso per testare il terreno, supponendo che sia ancora bagnato, non so.. ha detto testare ma non so bene cosa.
Usciamo e mi coglie un fiorellino viola. Sorridiamo., lo apprezzo molto.
Lega il cagnetto più scuro (che ha notevoli favoritismi.. devo ammettere che è il più carino, poi ogni volta che viene slegato per prima cosa corre a salutarmi..) e ne slega altri due.
Solo uno però monta in macchina con la madre e ci accompagna nel nostro giro. Questi canetti sono fottutamente agili e grintosi, anche se magrolini. Siamo tutte un po’ denutrite noi bestie di J. (la mia magrezza però non è una sua colpa).
Non mi ero ancora resa conto di quanto fosse infinito l’infinito Ranch Delacourt fino ad ora. Viviamo una vera e propria puntata di National Geographic dal vivo. Tra emù, canguri, fenicotteri, falchi, pecore e naturalmente migliaia di mucche.. vengo finalmente a conoscenza di quanto duro sarà il lavoro che mi attende. Di quanto tre mesi di equitazione dieci anni fa, non possano avermi preparato adeguatamente a tutto questo (sono un po’ ansiosa della reazione di J. di fronte alla mia incompetenza). E nonostante tutto questo.. a quanto non vedo l’ora di montare su quel fottuto cavallo e vivere da Cow Boy.
Oltre a questo scopro davvero quanto siano stupide mucche e canguri.. ora capisco perché ci sono così tanti canguri stecchiti per la strada che porta alla tenuta.. Quando passi con la macchina loro si buttano semplicemente sotto le ruote per scappare (per fortuna J. è abile e non ne uccide nessuno).. C’è un motivo per cui gli erbivori sono gli ultimi nella scala gerarchica..
Questi ragionamenti non mi rendono comunque meno vegetariana.. sono ancora fermamente convinta di tornare a non mangiare carne una volta uscita dall’Isola.
Sta sera è finalmente il mio turno di cucinare. E pasta sia. Al sugo. Non ho altra scelta, sono italiana e quindi mi tocca cucinare la pasta al sugo. Ed io cerco di farla al meglio, anche se ho un sugo inglese in scatola, di quelli con basilico e origano, che non hanno bisogno di essere cucinati più di 5 minuti.
Inizio facendo soffriggere un pezzo di carota e mezza cipolla tritate, insieme ad uno spicchio d’aglio, a fuoco basso, per un quarto d’ora abbondante, poi aggiungo un dado di burro, il barattolo magico di tomato, e più o meno 100 ml di latte, per addolcire ulteriormente.
Cuocio per altri 6,7 minuti. Poi spengo ed aspetto che bolla l’acqua.
Spaghhetti. Sarà.. proviamo.. Il risultato non è male, si avvicina abbastanza ad una pasta al sugo e sono riuscita a camuffare il sapore del sugo precotto. Il responso di J. è “Very Good!”.
E poi, all’improvviso, succede il miracolo. Il mio telefono, che avevo usato come timer per la pasta, lì, vicino al fornello, inizia a strombettare. Il suono di decine di messaggi tutti insieme.
E nel momento in cui provo a scrivere “amore tutto bene, sono viva!”.. semplicemente, con il 38% di batteria.. insomma, abbastanza carico.. si spegne. Quindi mi è sempre più chiaro che è assolutamente il destino a non volermi fare avere contatti con il resto del mondo.
E così sia.

12 LUGLIO.
Fino ad arrivare al giorno in cui un cazzo di toro mi spacca i denti.. Ma partiamo dall’inizio.
Mi alzo prima del suono della sveglia e alle sette stiamo già mangiando il nostro porridge.
Dopo un breve giro in macchina torniamo a casa e J. inizia a strigliare il suo cavallo, io faccio lo stesso col mio.
Li selliamo e J. li fa salire sul furgone (sul trasportino.. come si chiama quello per i cavalli e non per gatti?)
Io entro a cambiare i pantaloni, sono uscita con quelli da lavoro, ma ho bisogno di indossare quelli per cavalcare.
Ok, non ci fermiamo lontano, e montiamo i nostri cavalli. Ci salgo su facilmente, senza bisogno di aiuto (il mio cavallo non è altissimo). L’inizio è un po’ titubante. Il cavallo ed io abbiamo bisogno di conoscerci l’un l’altra. Quando cerco di assestare la presa con le gambe lui parte al galoppo ed io non sono affatto preparata per questo.
J. mi fa mettere davanti, a condurre la mandria. Quando capisco come fare per non far partire il mio cavallo come un pazzo, tutto fila liscio.. eccetto quando i cagnetti abbaiano senza motivo e fanno correre le mucche.
Vediamo un po’ di canguri. Il sole è pungente, ma per l’ Out Back non è una giornata così calda.
Alla fine conduciamo la mandria in un recinto. La fatica è tanta, ma mi aspettavo che l’entusiasmo fosse maggiore, invece non mi sento poi al settimo cielo.
Torniamo a casa e mangio dei toast col formaggio, sono stanca ed ho fame.
Dopo non molto J. prende degli strani aggeggi bianchi, che capisco subito essere percing per le mucche. Ok, andiamo a forare qualche lobo!
Io ho tolto il Cap ed ora indosso il cappello da Cow Boy che mi ha dato J., con la camicia con le scene di caccia inglese, la mia preferita.
Prendiamo il furgoncino e si parte.
Il lavoro è più o meno questo. Si conducono le mucche in un tunnel, diviso da vari cancelletti per separare le mucche, il primo dei quali ha un’apertura che va chiusa velocemente attorno alla testa della mucca, cosicché quella stia più ferma possibile, mentre gli viene forato l’orecchio.
Ok, il lavoro è monotono, si devono semplicemente condurre queste stupide bistecche nel tunnel, ancora e ancora.. Qualcuna oppone resistenza, ma se un cagnolino riesce a spaventarle, non credo sia poi un dramma. Non provo molta pena perché io ho forato, inciso e tatuato il mio corpo davvero tante volte.. però capisco il loro spavento..
Non è passato molto, quando mi trovo ad avere a che fare con un’altra mucca rompiscatole che non vuole entrare nel tunnel. E’ l’ultima della fila, io mi avvicino per farla proseguire, spingendo il cancello dietro di lei, cosicché sia costretta ad avanzare.. E quella bastarda, grande figlia di puttana, scalcia con tutta la sua forza il cancello contro la mia faccia. Mi fa partire tre denti.. gli incisivi, è naturale! Mi ritrovo a terra incredula e disorientata. Inizio ad elencare tutte le parolacce che mi vengono in mente, mentre mi allontano, con la mano davanti alla bocca.. le gengive sanguinanti.. Ed ho l’aspetto di un vero Cow Boy.
Ok ora però sono davvero spaventata, me ne sto lì seduta nel furgoncino, guardandomi allo specchio, sputando sangue e chiedendomi “perché, perché anche questa!”. Dopo un quarto d’ora torno a fare il mio lavoro di apertura e chiusura dei cancelli. Questa volta mi tengo a distanza ed il mio rendimento ne risente. Capisco di non poter fare questo un’altra volta. Non voglio fare questo un’altra volta. Ovviamente in tutto ciò mi accorgo anche che quella è una fottuta mandria di tori e non di mucche, non c’è nemmeno una cazzo di mucca. Bene.. saperlo prima magari sarei stata più prudente. Un cazzo di toro mi ha sbattuto un cancello in faccia e per me con questo ho chiuso.
I miei cazzo di denti mi costeranno parecchio. Mi ritrovo qui, squattrinata, costretta a lasciare il lavoro, senza nessun risarcimento.. senza denti, con la macchina fotografica di merda rotta, attonita e senza parole.. ma costretta a fare due più due. Devo fottutamente andarmene di qui.
Torniamo a casa, dalla violenza con cui sbatto le porte alle mie spalle capisco di essere molto incazzata. Mi faccio una cazzo di doccia, poi mi sdraio sul letto. Non ho soluzioni.
J. mi chiama, mi dice “Andiamo, selliamo i cavalli”, io gli rispondo.. “Mi dispiace non posso fare niente.”
Lui risponde “All Right!”.
Quando rientra gli comunico che non posso più restare. La mia voce trema. Lui è dispiaciuto. Ci abbracciamo. Un lungo e sentito abbraccio, in cui ci trasmettiamo stima reciproca. Mi dice che sono una brava ragazza.
Domani partirò con l’auto per Brisbane. Pronta al peggio, perché al peggio non c’è mai fine.. (purtroppo al peggio non si è mai veramente pronti)....

Sto meglio, mi sono calmata ed in qualche modo mi trovo anche sexy con i denti rotti, forse perché ho le labbra gonfie.. Comunque non posso rimanere in questo stato, più che altro perché non posso masticare, con gli incisivi spezzati e senza un molare, c’è davvero poco da fare..
Lascio dei post-it alla nuova ragazza, sperò che li apprezzerà e che l'aiuteranno a superare lo shock iniziale. Poi vado a letto.




4 commenti:

  1. non so come commentare... cmq alla fine j. mi era diventato simpatico... un abbraccio vero...

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  2. J è tipo Il vecchio e il mare! Mi manca già!

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  3. verò, avrei un milione di cose da dirti...non tutte piacevoli!!! i denti te li farai riaggiustare...un lavoro lo ritroverai e il buon umore anche...ma di VITA ne hai, ne abbiamo, una sola: trattala meglio, non esporla a rischi sciocchi e inutili. nessuno ne ha una di scorta, neanche tu!!! a casa abbiamo vissuto una settimana da dimenticare, con i pensieri più neri che possano esistere. sono andata di corsa a fare il passaporto per venire, ma dove???, a recuperarti!!! sii più prudente, tesoro mio,vivi "normale"...

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  4. Su forza, presto splenderà di nuovo il sole...e ascolta le sagge parole della mamma...che lei ha sempre ragione. Intanto se passi sul mio blog c'è un premio per te! Kisses Vale

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